Mostre
Domenico Sanchez Blanco, Pier Paolo Calzolari, Attila Csorgo, Rainer Ganahl, Hannu Karjalainen, Chosil Kil, Paolo Parisi, Steven Pippin, Luca Pozzi, Tobias Putrih, Arcangelo Sassolino
Galleria Enrico Astuni, Bologna
dal 26.11.2011 al 14.01.2012
A cura di: Galleria Enrico Astuni
“Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo”
Alan Kay (informatico statunitense)
In un momento di grandi cambiamenti la Galleria Enrico Astuni propone una mostra collettiva con l’intento di far riflettere sull’idea di cambiamento, rinnovamento e un nuovo futuro. L’attuale situazione politica e sociale è vissuta da molti con grande preoccupazione. Ci troviamo di fronte ad un vuoto che non da alcuna certezza nella vita quotidiana ma mentre la filosofia Occidentale confonde e interpreta il vuoto con il nulla, perché la definizione del termine confluisce nel nichilismo, gli Orientali ci insegnano che il vuoto è sinonimo di infinita ricchezza e possibilità, di massima apertura e libertà. Il vuoto non è assenza di pieno ma come una cavità ricolma di nulla pronta e disponibile ad accogliere e a elargire e con infinite possibilità di trasformazione.
“Siamo abitati dal mondo e questo ci rende difficile abitarlo in senso proprio e compiuto.” (R. Mantegazza), che vuol dire che le circostanze quotidiane fanno si che siamo pieni di cose, di pensieri, di immagini e impressioni a tal punto da non poter piu vivere il nostro profondo io. Lo spazio interiore è colonizzato da cose irrelate impedendo la legittima socialità e socializzazione di cui avremmo invece bisogno. Lasciare spazio al nulla, al “non-si-sa-cosa” significa quindi creare terreno fertile al cambiamento, anche se ancora ignoto.
La mostra raggruppa opere il cui filo conduttore è non solo l’attuale situazione di cambiamento politico e sociale ma anche l’interrogazione delle origini nostre, della scienza dell’esistenza umana fino alla filosofia del nulla intesa come punto di partenza ideale per l’invenzione di un futuro più soddisfacente.
L’entrata della galleria è caratterizzata da Macula di Tobias Putrih, grande scultura di cartone, apparentemente solida ma in realtà vuota. Le opere fotografiche di Rainer Ganahl documentano uno dei suo credit crunch, ispirati dall’attuale (negativa) influenza che i mercati finanzari hanno sulla politica e ricordando la malgestione del denaro pubblico in modo chiaro ma altrettanto ironico. Di concetto contrario si prensenta Macroscopico e domestico di Arcangelo Sassolino: un grande serbatoio collegato attraverso un compressore ad una bottiglia di plastica alla quale viene aspirata e poi rigettata l’aria. L’installazione “inspira” ed “espira” e la bottiglia è antonimica per il vuoto- vuoto o il vuoto-pieno rimandando ad un senso di soffocamento o scoppio. Non Grave dell’artista coreana Chosil Kil fa riferimento alla nostra storia e quella dei lavoratori che hanno (ri-)costruito l’industria italiana del post guerra: l’impegno fisico e la memoria del territorio vengono rievocati attraverso i calchi di una parete di una casa colonica abbandonata. Luca Pozzi, legato alla meccanica quantistica, che definisce il vuoto come continua fluttuazione di energie dalle quali si genera energia, propone Shield, un fermo immagine di una pittura a luce effimera che rinvia ad altre dimensioni. Il vuoto dello spazio, l’ignoto, prende forma e diventa fonte di esistenza. Simile è la costellazione planetare di Steven Pippin, in cui la nostra terra è stata sostituita da una figura seduta su una piccola televisione. L’installazione, girando in senso orario, quindi al contrario dei pianeti veri, annulla i movimenti a vicenda. L’idea che la TV ha sorpassato in importanza il pianeta terra, e che si è guadagnata una posizione centrale all’interno del sistema planetario, ispira questa visione artificiosa del mondo. Il video di Hannu Karjalainen ci travolge in un enorme onda buttando sotto-sopra ogni certezza dell’essere, mescolando emozioni e certezze allo stesso tempo. Moebius Space di Attila Csorgo conferisce un nuovo punto di vista della quotidianità e ricorda che è possibile percorrere due strade apparentemente distinte. La pellicola di una fotografia è disposta a forma di nastro di Moebius sopra un tavolo luminoso, la stampa fotografica è incorniciata e appesa di fronte, come se fosse proiettata contro il muro. Sembra di vedere una semplice riproduzione ma in realtà non può essere visto che il nastro rappresenta il sopra e il sotto in un’unica dimensione. Emblematica per l’attuale atmosfera è poi anche la Casa che brucia di Pier Paolo Calzolari: un luogo di rifugio in fiamme rinconduce inevitabilmente all’analisi delle proprie origini nonche a riconoscere il valore di un centro di appartenenza personale anche in tempi difficili. Domenico Sanchez Blanco è presente con La Caja del Escapista, un’ installazione di una scacchiera scrigno che ospita una scultura di una testa di cane con un collare a borchie. Il tutto è completato da una fotografia che raffigura un ritratto di un giovane uomo tatuato in faccia. L’opera evoca un sentimento di guerra e lotta, insieme all’idea che tutto ciò può rivelare segreti e confini sconosciuti (lo scrigno). Infine, i dipinti di Paolo Parisi, portati alla massima essenzialità invertono il rapporto primo piano-sfondo in pittura. In esse risultano evidenti le immagini di due profili costieri (immaginari, frutto di rielaborazioni di coste reali) che si fronteggiano mettendo in evidenza il vuoto del mare (lo spazio monocromo e silenzioso) che li divide e che di fronte a noi è il vuoto della pittura. Questo vuoto poi diviene presenza quasi ribaltando l’idea di schermo di schifaniana memoria. Schermi televisivi che solo la memoria può riempire e che quindi riconducono in qualche modo all’opera di Pippin e alla critica della nosta cultura mass-mediatica: la televisione come strumento più antidemocratico inventato dall’uomo poiché da l’illusione di essere parte di un dialogo, ma esso è in realtà unilaterale e non partecipativo.