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IL FRAMMENTO COME STRUMENTO. Per un’archeologia dell’effimero

Maria Thereza Alves – Øystein Aasan e Piero Gilardi

 


Bologna, Galleria Enrico Astuni
dal 06.07.2017 al 28.10.2017

A cura di: Lorenzo Bruni

Comunicato stampa: PDF

La Galleria Astuni presenta giovedì 6 luglio 2017 dalle ore 18,30 la mostra a cura di Lorenzo Bruni dal titolo “IL FRAMMENTO COME STRUMENTO. Per un’archeologia dell’effimero” con gli artisti di fama internazionale Maria Thereza Alves, Øystein Aasan e la speciale partecipazione di Piero Gilardi, artista attivo nell’Arte Povera e anticipatore dell’Arte Relazionale e Interattiva.

 

            La collettiva “IL FRAMMENTO COME STRUMENTO. Per un’archeologia dell’effimero”, a cura di Lorenzo Bruni, è caratterizzata da grandi “ambienti installativi” di Maria Thereza Alves (San Paolo, 1961; vive e lavora tra Berlino e Napoli) e di Øystein Aasan (Norway, 1977; vive e lavora a Berlino). Entrambi indagano il tema del monumento e della sua nuova possibile funzione proponendo un ambiente dialogico e contestuale. Da una parte della galleria si erge una struttura/volume dell’artista brasiliana capace di far riflettere sulla tensione tra idea di cultura, quella di natura e di colonialismo. L’artista stabilisce questa narrazione facendo convivere la documentazione di archivio, gli appunti scritti a mano e i quadri di piante ritenute “tipiche” della zona di Guangzhou, che ha studiato in occasione della triennale del 2008. Dall’altra parte dello spazio espositivo si colloca, invece, la struttura/piattaforma ideata dall’artista di origini nord europee, che indaga lo stato di salute dell’eredità del Modernismo e le connessioni tra architettura, rito e concetto di sublime. Aasan ottiene ciò sviluppando un dialogo/frizione tra quadri e sculture, tra immagini trovate e oggetti creati o ri-creati.

            Le opere in mostra hanno in comune la volontà di adottare il reperto e il frammento per risalire ad un tutto, con cui puntano ad interrogarsi, da una angolazione anomala, sul possibile ruolo dell’oggetto artistico oggi. Le associazioni che questi artisti stabiliscono con le loro immagini/documenti evocano una narrazione più ampia attraverso la quale fanno riflettere l’osservatore non tanto sull’identità di una civiltà del passato, piuttosto su quella di cui fa parte. Tale narrazione di tipo “potenziale”, che attivano in presa diretta e in cui la presenza dell’osservatore è fondamentale, non rappresenta il punto di arrivo, bensì di partenza di un processo cognitivo e non solo di un’espressione formale. In questo modo gli artisti possono sollevare discussioni interessanti sia su quale sapere del modello occidentale è possibile tramandare adesso al tempo degli archivi digitali, sia sul cercare un nuovo rapporto tra oggetto osservato e osservatore nel “presente espanso” dei social media. Il loro obiettivo è quello di stabilire un dialogo aperto sulla contemporaneità, sulla cultura di riferimento con la quale le persone interpretano il reale e soprattutto sulla ricerca di un nuovo tipo di eticità dello sguardo sulle cose/informazioni.

            La speciale partecipazione di Piero Gilardi (Torino, 1942; vive a lavora a Torino) permette alla mostra di fornire stimoli ulteriori ai temi affrontati grazie alla presenza della scultura interattiva del 2001 dal titolo “Scoglio Bretone”, ma anche per mezzo di altri suoi interventi che nascono dalla volontà di caratterizzare in maniera “epifanica” gli ambienti espositivi. Questi ultimi sottolineano maggiormente la necessità di spostare il discorso affrontato da un punto di vista di cronaca su un piano squisitamente ontologico. Gilardi ha da sempre lavorato alla trasformazione dei riferimenti culturali rispetto a quelli di natura, approccio che gli ha permesso di realizzare una comunicazione “altra” rispetto a quella promossa dai mass media. Questa attitudine lo ha portato a riflettere in maniera diretta sulla questione di cosa vuol dire essere attivi e/o attivisti in una società informatizzata, tema che proprio oggi necessita ulteriori indagini.

 

Il frammento come strumento. Maria Teresa Alvez – Øystein Aasan e Piero Gilardi, recensione di Emanuela Zanon, Juliet magazine