Mostre
Mario Airò, John Baldessari, Simone Berti, Hugo Canoilas, Gino De Dominicis, Rainer Ganahl, Susan Hiller, Tim Lee, Cristiano Mangione, Bruce Nauman, Joao Penalva, Superflex
Galleria Enrico Astuni, Bologna
dal 10.04.2010 al 10.07.2010
A cura di: Giovanni Iovane e Alessandra Pace
Cadere è una delle metafore – e insieme delle pratiche – ricorrenti della modernità. Cadere si differenzia, per toni, accenti e risultati dal più generico volare. Il volo modernista prevede, infatti, una concettualizzazione del vuoto, una presentazione non performativa e soprattutto una certa dose di romanticismo, come nella celebre foto che ritrae il salto nel vuoto di Yves Klein. Cadere ha invece sicuramente complicazioni psicologiche (lo spettro della failure, del fallimento, che si aggira sempre tra di noi da più di un secolo) ma anche qualcosa d’inerente ad un fare artistico che presuppone una traiettoria, una direzione, l’insistenza sulla forza di gravità e soprattutto sulla fissazione di un evento che aggiunge qualcosa (o supplisce) al panorama quotidiano. Secondo Jean-Paul Sartre, il primo artista occidentale che dipinse una vera caduta, ossia un corpo solido e pesante che cade nello spazio, è stato Tintoretto. Il quadro, che inaugura la rappresentazione della pesantezza e persino gli effetti morali della forza di gravità, è San Marco libera lo schiavo (1547-48). Qui il Santo non svolazza liberamente nel vuoto del cielo, ma a testa in giù (come Superman, scrive acutamente Sartre) punta direttamente al centro del quadro; non più un semplice volo ma una concreta caduta geometrica. A distanza di pochi anni dal dipinto di Tintoretto, Bruegel il Vecchio, dipinge la Caduta di Icaro (1555). A dispetto del titolo e del soggetto del quadro, l’artista dipinge essenzialmente un paesaggio. In questo paesaggio noi possiamo scorgere immediatamente, ed in primo piano, un contadino al lavoro, una nave. Tuttavia, come spettatori interessati, si fa una certa fatica ad individuare il povero Icaro in caduta: dopo un po’, dopo una attenta osservazione, notiamo due piccole gambe in mare, che raffigurano l’evento. A distanza di pochi anni la geometria della caduta appare nella sua evidenza plastica in Tintoretto e nella sua irrilevanza concettuale (e morale) in Bruegel. Con gli occhi della modernità (e del modernismo), la caduta a testa in giù e le piccole gambette divaricate, sembrano segnare ancora le due essenziali “posizioni” della caduta geometrica. Naturalmente, il 900 vi aggiunge di suo alterazioni psicologiche, sentimentali o dichiaratamente processuali. Aggiunte e supplementi, incredibilmente, già contenuti nella storia etimologica della parola “fallire”: ingannare, cadere, difficoltà nel camminare. Le cose accadono e cadono, dopo un volo più o meno breve. L’aspirazione (o l’oggetto del desiderio) non è più lanciarsi, e rimanere, in volo ma ri-cadere, con una precisa intenzione, a terra (con la sola eccezione di un romantico e ingannevole salto nel vuoto). In un film sperimentale di Hans Richter del 1926, Vormittagsspuk, fantasmi antimeridiani e oggetti che cadono si susseguono senza posa. La caduta, con tutta una sottile e variegata analisi del suo dinamismo più o meno verticale, diviene un “luogo” fondamentale nei film di Buster Keaton. Tale azione intenzionale (con sue precise geometrie) viene ripresa in un campo d’azione in cui è possibile includere Samuel Beckett, i quadri eroici di Barnett Newman ad esempio e, negli anni ‘70, una serie di film di Bas Jan Ader tutti dedicati alla “caduta”. Un film del 1971, Broken Fall (Geometric), può essere assunto a simbolo o a manifesto di questa volontà, o forse desiderio dell’artista, di presentare una direzione, un indirizzo preciso – e sia pure “ritardato” in stile keatonesque- a questa maniera di fare spazio attraverso un evento (e secondo le leggi della gravità, della pesantezza dei corpi). E se in Bas Jan Ader è il corpo (secondo storia e tradizione artistico-performativa) a segnare la geometria della caduta in Bruce Nauman (alla fine degli anni ‘60) o in John Baldessari (nei primi anni ‘70) è il rimbalzo di una palla ad offrire la possibilità di una linea retta o di altre figure geometriche (con evidente e ironico superamento delle linee verticali di Barnett Newman ma anche e soprattutto con un richiamo alle gambette di Icaro). Negli ultimi decenni, la caduta o ibridi del volo “a scadenza” come la levitazione, si sono trasformati (anch’essi) in veri e propri fantasmi del Modernismo. Spettri che testimoniano una sopravvivenza nel panorama visivo contemporaneo e nella cultura visiva popolare di una permanenza di strumenti d’indagine e di osservazione che puntano a determinare ciò che avviene, ciò che accade quando qualcosa cade o potrebbe cadere in un punto, in uno spazio definito. In questo campo, e per ciò che riguarda il corpo, la fonte di osservazione e di sperimentazione ulteriore (o di reduplicazione) è senz’altro Bruce Nauman nel suo studio. Saltimbanchi ed equilibristi ritornano sulla scena contemporanea a sfidare l’ossessione del fallimento, della possibile caduta (ad esempio nel docu-film Man on Wire del 2008). L’omaggio al fantasma modernista di Klein in volo può ironicamente ma anche antropologicamente, avrebbe detto Michel Foucault, moltiplicarsi in una serie d’immagini di levitazione “trovate” (sottile risposta al ruolo attivo che Marcel Duchamp assegnava allo spettatore nel completamento dell’opera d’arte). La caduta geometrica può ricondursi alla sospensione (anche della credulità) in aria di alcune foglie o all’ansia sociale di essere posti su un piedistallo precario. Alla radice etimologica “ingannevole” della sospensione in volo (come supplemento d’indagine rispetto alla forza di gravità) fa riferimento un vasto repertorio di oggetti che non si decidono mai a cadere a terra. La caduta geometrica, infine, è anche una questione tecnica che, da Tintoretto a Jackson Pollock, riguarda la posizione del quadro e la caduta della pittura.